L'ARTISTA

Heidi Mertens

Gossau: 15.9.1893 - 19.5.1982, CH. Pittrice, arte concreta.

Figlia di Karl Albert Eberle e Nina Eberle-Gross, trascorre l’infanzia a Gossau, nel Canton San Gallo. Nel 1912 è allieva del pittore svizzero Wilhelm Hummel presso la Stadlerschule di Zurigo. Completa la formazione a Monaco: nel 1914 si iscrive alla Debschitz-Schule e nel 1924 frequenta l’atelier di Stanislas Stückgold. Fra il 1917 e il 1924 è sposata con Hans Rölli, cantautore e operatore turistico nel Canton Grigioni. Hanno due figli: Annakatharina (1918) e Wolfgang (1919). A Svitto rinsalda il legame con l’architetto paesaggista di Zurigo Walter Mertens e la sua cerchia di amici. Dopo il matrimonio, nel 1930 i Mertens si stabiliscono a Feldmeilen presso Zurigo, dove nascono Pieter (1931) e Tobias (1932). Nella tenuta denominata Bünishof ospitano artisti e intellettuali, nonché esuli pacifisti in cerca di rifugio. Non dipinge quasi più ma grazie alle conversazioni con Leo Leuppi e Richard Paul Lohse si avvicina all’arte concreta zurighese e alle correnti moderniste europee. Sua interlocutrice privilegiata è pure la pittrice zurighese Helen Dahm, con cui fra il 1938 e il 1939 condivide un viaggio in India, presso l’ashram del santone Meher Baba. A quasi dieci anni dalla scomparsa del marito, nel 1952, si stabilisce in Ticino, a Solduno e poi a Carona. Ospita nella sua casa Arend Fuhrmann, conosciuto con la famiglia quando era ancora un bambino. I due artisti si incoraggiano a vicenda e nel 1960 Hedi Mertens torna a dipingere. Partecipa alle mostre del Movimento 22 ed espone, per lo più con Fuhrmann, alla Galleria La Cittadella di Ascona, alla Galerie Palette di Zurigo, alla Galerie Stähli di Lucerna e alla Square Gallery di Milano. Numerose pure le collettive in Svizzera e all’estero, fra cui Spektrum der Farbe al Kunsthaus di Zurigo nel 1967 e Schweizer Konkrete a Bienne nel 1973. Fra le rassegne postume figurano le personali allo Studio Dabbeni e nel 2002, sempre a Lugano, l’omaggio ai due artisti del Museo cantonale d’arte.

Sono noti un paesaggio del 1918 e alcuni dipinti degli anni ’20 e ’30 vicini all’espressionismo monacense. La produzione che caratterizza il ritorno alla pittura è invece svincolata da ogni referente esterno e si presenta come assolutamente concretista. I pionieri dell’astrazione geometrica e gli artisti concreti zurighesi sono i principali punti di riferimento di una ricerca che fin da subito privilegia il quadrato come forma assoluta, esplorata nella sua intrinseca semplicità, regolarità e potenzialità combinatoria. Rigorosi da un punto di vista strutturale ma non sottomessi a una logica combinatoria costrittiva, i cicli pittorici si arricchiscono nel confronto con la musica cinese e il pensiero orientale, nonché grazie a una propensione ludica e intuitiva che investe soprattutto la dimensione del colore. L’articolazione interna al campo per lo più quadrato, spesso ruotato a losanga o raddoppiato, si presenta in varianti sempre diverse a partire da unità a loro volta prevalentemente quadrate. Inizialmente reticoli e sequenze scalari rispondono a rapporti proporzionali. In seguito la griglia quadrettata si infittisce divenendo perfettamente regolare ed è il colore a definire il ritmo del dipinto. Alla fine degli anni ’60 prende importanza l’area del centro e i moduli tornano a dimensioni più variate. In seguito subentrano strisce e meandri, mentre l’uso del «quadrato nel quadrato» e del bianco e nero porta a soluzioni dinamiche che si richiamano al simbolo cinese dello yin-yang. Nelle ultime opere le configurazioni si fanno più «minimali» e le forme fluttuano nel campo bianco, creando l’effetto di una spazialità più immateriale e meditativa.

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